Gli open data diventano possibili per tutti i Comuni

Offrire ai cittadini gli open data della città fino a poco fa appariva difficile se non impossibile. Oggi acquisire dati da banche dati è un problema di volontà ed eventuale complessità, esporli può essere più o meno chiaro, più o meno facile da consultare, ma è un tecnicismo che si supera.

Il problema restano i dati sul territorio, che spesso o non esistono, o esistono su database di aziende diverse in formati diversi e spesso non correttamente geolocalizzati, requisito essenziale per integrare i dati.

Infatti, cercando una persona o una azienda si ha sempre un indirizzo geolocalizzabile, più o meno semplicemente, collocabile sulla mappa. Se già non è ovvio avere la geolocalizzazione delle strade, magari esistono anche tanti disegni tecnici e progetti, ma molto spesso non sono georeferenziati, o se lo sono hanno basi differenti non integrabili e non sovrapponibili.

Ottenere dati consistenti grazie alla geolocalizzazione

Per avere dati consistenti non basta mettere a video Google map o mappe satellitari o aerofotogrammetrie e cercare di sovrapporre i dati che si hanno. Spesso ci si sforza inutilmente e l’immagine complessiva diviene inaccettabile: parcheggi nelle case, case sulle vie (o vie sulle case) e così via.

Gli open data diventano possibili per tutti i Comuni

In teoria i dati si possono integrare, ma in realtà spesso non è possibile e in tanti piccoli comuni i dati non ci sono neppure su mappe in Autocad o la copertura è a macchia di leopardo.

La soluzione che sta emergendo, da poche ditte per ora, è l’acquisizione dei dati stradali e correlati (vedremo bene le possibilità in seguito) in formato nativamente georeferenziato tramite sistemi  simili a quelli usati da Google per Street View, o tramite uso di automezzi e droni.

I dati possono essere poi esportati in database georeferenziati o GIS o SIT. E uno dei player principali fornisce un po’ di documentazione on line.

Esistono ovviamente altri player che in ambito comunale o provinciale o regionale possono e devono essere ricercati per trovare la soluzione più adatta.

A integrazione di ciò che si può dedurre da brochure o analisi statiche (ancorché utilissime) come Wikipedia, le opportunità acquisibili de visu sono grandissime, costringendo anche a un minimo di banalizzazione della tecnologia.

Un veicolo (per esempio) aquisisce con telecamere e laser i punti salienti delle strade, dal livello del terreno a molti metri di altezza, anche procedendo a velocità tali da non intralciare il traffico.

Si ottengono due visioni da sovrapporre, le telecamere e i dati rilevati dai laser.

Dopo di che, o automaticamente o con operatori, si acquisiscono come immagine, misura e coordinate geografiche oggetti come:

  • numeri civici
  • passi carrai
  • dati sulla sosta
  • misura reale delle vie percorse
  • marciapioedi
  • stato della strada
  • semafori
  • cartelli
  • pali dell’illuminazione
  • fermate del trasporto pubblico
  • posizione bidono o cassonetti

e tanto altro.

I costi per l’acquisizione e la gestione degli open data

Ovviamente i costi sono importanti, tanto più importanti quanti più dati si chiedono.

Ma il dato ha valenza sia civica che aziendale, oltre al fatto che al Comune il dato potrebbe interessare:

  • chi cura l’illumizione
  • chi cura il trasporto pubblico
  • chi cura i semafori
  • chi cura la sosta
  • chi cura l’igiene urbana
  • chi progetta cantieri

e altri.

DATABASE at Postmasters, March 2009 by Michael Mandiberg / CC BY-SA
DATABASE at Postmasters, March 2009 by Michael Mandiberg / CC BY-SA

Quindi sarebbe auspicabile o la finanziabilità pubblica dei progetti (con magari possibili ritorni dell’investimento in caso di cessione di parti dei dati a pagamento), o la costituzione di consorzi per acquisire il servizio o l’investimento in ottica di cessione onerosa dei dati alle imprese, gratuita, magari limitata ai dati di pubblico interesse, ai cittadini.

L’attuale Governo ne ha fatto una bandiera e forse varrebbe  la pena di approfondire per le amministrazioni locali che potrebbero in pochi giorni di lavoro avere dati per centinaia di chilometri, che è la rete viaria di una città non grande.

Naturalmente c’è anche una valenza extraurbana, su strade, argini, fabbricati rurali.

A cosa servono gli open data?

A questo punto ci si può chiedere a che servano questi dati. Per me [inlinetweet prefix=”” tweeter=”” suffix=””]gli open data la base della democrazia digitale o partecipata: accettare il dibattito con i cittadini vuol dire parlare di realtà e non di opinioni[/inlinetweet].

In troppi dibattiti si sentono affermazioni del tipo “la strada è buia” oppure “non ci sono posti per parcheggiare”, che sono dati soggettivi.

Il dato oggettivo, per ipotesi, potrebbe essere invece che:

  • ci sono in 100 metri di strada 10 lampioni che illuminanono con il diametroi di 11 metri ognuno con la potenza di una lampada da x watt
  • ci sono 27 posti di sosta, 35 residenti con auto e 43 auto censite di residenti.

Ma si potrebbe anche indicare la media illuminazione cittadina e la disponibilità di posti media e nelle vicinanze, giustificando che magari di 50 posti auto disponibili due o tre sono destinati ai disabili, cinque per la fermata del bus, cinque per i cassonetti, cinque per passi carrai e così via, mentre magari il trend dei residenti è in calo.

In questo modo tutti parlerebbero di dati veri e numerabili, si potrebbero fare confronti con aree contigue e la discussione si incanalerebbe sui fatti e non sulle opinioni.

E spesso si possono trovare soluzioni, magari incrociando i dati sugli incidenti, per sviluppare soluzioni anche nel medio tempo. Dove si può (dati e ingombri alla mano) si progetta per esempio una rotonda, che magari riduce i parcheggi ma che contestualmente aumenta l’illuminazione della zona; se non si può si progetta una zona a bassa velocità che non sempre piace ai residenti, ma che massimizza la sosta, specie se esistono vie a scorrimento veloce vicine e ci si accontenta di un semaforo in analogia ad altre zone.

Se si discute di numeri si ha l’esatta percezione della zona, sia come servizi pubblici che la servono (linee bus, fermate, servizi civici) sia come trend dei residenti, che può orientare anche progetti di riqualificazione urbana (un giardino spesso è perfetto per mamme, nonne e bambini, mentre creare asili in zone con altissima età dei residenti è poco sensato, meglio un centro anziani) e di sviluppo (un’area wifi ha senso in aree popolate da studenti e giovani, prioritariamente, così come un centro sportivo).

Per la mobilità è essenziale sapere con quanti minuti  a piedi si raggiunge il bus o un servizio: ovviamente due minuti per qualcuno sono tanti e per altri pochi, ma sono un dato certo, riferibile in metri.

Così come la disponibilità e la vicinanza di piste ciclabili, spesso sconosciute.

Quel che manca e mancherà ancora per un po’ è il reale utilizzo delle strutture (piste ciclabili, parcheggi, linee di bus, altri servizi) che però in futuro saranno integrate.

Sono meno ottimista, storicamente, sull’avere i dati sull’inquinamento zona per zona, sia per i moti dell’atmosfera che in base al vento aiutano o penalizzano una zona, sia per le reticenze a fornirli. Ma con questi dati, magari integrato a dati esistenti sulla gestione dei rifiuti, si potrebbero confrontare le città, sia settorialmente che complessivamente e anche le zone cittadine tra loro.

La visione sarebbe che in base a questi dati si ottimizzasse la città, evitando il rischio che in centro ci siano centinaia di hotspot che magari si disturbano e in periferia nulla o quasi.

Dubito che in un immediato futuro ci possa essere abbondanza di risorse economiche come in un lontano passato, e in tempi di ristrettezze ottimizzare gli investimenti decidendo su dati certi è meglio che decidere su opinioni.

Un esempio che ritengo valido ormai in tutte le città, se ci fosse evidenza dei cantieri stradali e delle operazioni fatte sull’asfalto apparirebbe evidente quello che i residenti sanno da sempre: magari si interviene 50 volte su una serie di buche, sempre più frequentemente, fino al rifacimento del manto (che sarebbe costato meno sin da subito), dei rappezzi sui rappezzi, rifacimento che viene magari fatto dopo il ripasso della segnaletica.

1 commento

  1. Buonasera Marco, sono Giovanni Manta titolare di Geolander.it che ha citato in questo articolo. Ci tenevo a ringraziarla per quanto descritto sui temi a noi cari della Digital Geography. Mi auguro di poterla di conoscere di persona. Nel caso volesse, mi può contattare anche via whatsapp al +39 3396855919

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