La Scuola di ieri, la Scuola di oggi e la Buona Scuola [INTERVISTA]

La Scuola di ieri, la Scuola di oggi e la Buona Scuola [INTERVISTA]

Se ne sente discutere tanto, da mesi. È una riforma che interessa tanti, non solo perché i lavoratori della Scuola sono numerosi, ma anche perché è lì che si formano le menti di un Paese.

“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.

(Articolo 33 della Costituzione della Repubblica italiana)

Per comprendere meglio i motivi della protesta, capire come e da chi è fatta la Scuola oggi e cercare di immaginare come sarà la Scuola del futuro, abbiamo posto alcune domande ad un’insegnante.

Cetty ha iniziato la sua carriera scolastica nel 1976 e [inlinetweet prefix=”” tweeter=”” suffix=””]in quasi quarant’anni ha visto davvero la scuola cambiare[/inlinetweet]. Da quando poteva portare i suoi figli a scuola con sé, perché le mamme non hanno mai avuto troppe agevolazioni nel Pubblico, ad oggi, quando come nonna è diventata punto di riferimento per figlio e nuora, anche loro insegnanti, nei momenti di necessità tra riunioni e collegi, per accudire il nipotino.

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Cetty è mia madre. E gli attestati di stima e di affetto che ho sempre visto nei suoi confronti da parte di alunni, genitori e colleghi mi danno la certezza che sia sempre stata un’ottima insegnante, da quando, come dicevo, poteva portarmi ancora a scuola con sé, fino ad oggi, anche se l’accesso alle strutture scolastiche è inibito agli estranei e i cambiamenti continui hanno minato l’efficacia della disciplina per gli studenti.

E questo amore per il suo lavoro, purtroppo o per fortuna, l’ha trasmesso anche a me, aspirante insegnante, di lettere proprio come lei, senza troppe prospettive reali, viste le novità introdotte da un ddl che guarda troppo all’amministrazione e troppo poco alla sostanza, cioè alla didattica.

Quarant’anni di carriera come insegnante, è ancora la scuola di quando hai iniziato?

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Non si può rispondere in modo sommario a questa domanda. Bisogna analizzare le diverse componenti: gli insegnanti, gli alunni, la didattica.

[inlinetweet prefix=”” tweeter=”” suffix=”null”]Nel 1976 il ruolo dell’insegnante era di rilievo.[/inlinetweet] Il docente era rispettato dalla famiglia e dagli allievi. Anche i docenti più severi e temuti non erano mai criticati perché veniva loro riconosciuto l’importante ed esclusiva funzione educativa e formativa.

Senza voler essere nostalgica, ricordo con emozione quando io, appena diciannovenne, venivo chiamata dai genitori dei miei alunni “Signora Maestra”. [inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]Gli alunni dell’epoca, non digitalizzati, erano più propensi all’apprendimento[/inlinetweet] che, essendo frutto di una riflessione prolungata sui libri, risultava meglio metabolizzato e duraturo.

La didattica, a mio parere resta immutata. E non voglio dire con questo che i docenti di oggi siano antidiluviani, anzi credo che quella degli insegnanti sia la categoria che, a proprie spese, abbia sempre cercato di mantenersi al passo con i tempi.

Oggi si parla tanto di scuola del fare, di competenze e di progettualità. Tutto questo io lo vivo sin dal mio primo giorno di scuola come insegnante. Allora si cercava di concretizzare le teorie degli attivisti, di Decroly, di Freinet o il pragmatismo di Dewey.

La scuola favoriva il tempo pieno o prolungato e la lunga permanenza a scuola dava buoni risultati e offriva quelle pari opportunità che oggi stanno venendo sempre meno.

Secondo alcuni insegnare non è una professione ma una vocazione, quanto è vero?

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Sì, penso che questo sia vero. Personalmente ho scelto di fare l’insegnante quando avevo 14 anni. I miei volevano iscrivermi al liceo classico, ma io mi opposi perché volevo fare la maestra. Così preferii iscrivermi all’istituto magistrale e seguire la mia vocazione.

[inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]Si tratta di una vocazione che ha alla base due capacità essenziali: l’empatia e la pazienza[/inlinetweet].

Cosa ne pensi del bullismo? Si tratta di un fenomeno recente o è sempre esistito?

Un tempo era più evidente la discriminazione. Spesso le vittime di ciò restavano escluse e soffrivano della mancata integrazione.

Oggi la discriminazione sfocia quasi sempre nel bullismo perché il soggetto che non è “omologato” a certe caratteristiche diviene oggetto di offese e di violenza psicologica e talvolta fisica.

Si parla tanto di alternanza scuola-lavoro. I ragazzi di oggi sono davvero tanto distanti dal mondo del lavoro?

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No, per nulla. [inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]I ragazzi sono pronti ad impegnarsi nel lavoro e, quando ne hanno l’opportunità , lo fanno con entusiasmo e impegno[/inlinetweet].

Purtroppo l’alternanza non può essere attuata adeguatamente perché incontra la diffidenza delle aziende che ritengono che gli alunni siano un impiccio. Proprio per questo la scuola ha notevoli difficoltà a realizzare i progetti di alternanza scuola-lavoro.

La Buona Scuola: da insegnante di Lettere conosci bene il valore delle parole. Definirla Buona la rende in automatico una buona riforma?

Ho parlato con nostalgia della mia esperienza didattica lontana, forse perché [inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]ogni nuova norma introdotta in quegli anni ’70 e ’80 veniva pensata e ripensata[/inlinetweet].

Negli ultimi venti anni invece ogni nuovo governo ha voluto lasciare una impronta sulla scuola e questo ha prodotto solo guasti perché il principale motivo dei cambiamenti è stato un risparmio nelle manovre finanziarie.

[inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]Così sono state chiamate riforme le “sforbiciate” Moratti, Gelmini e Giannini[/inlinetweet]. Anche la Buona Scuola nasconde questo scopo.

Certo il governo afferma di aver investito tanto denaro, ma non tiene conto che sono previsti tagli ai fondi d’istituto già stabiliti dalla precedente finanziaria.

Le nuove assunzioni sono poi una necessità perché da tre anni non c’è turnover. [inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]La valutazione i docenti non la temono: sono costantemente valutati dagli alunni, dai genitori, dai bidelli e dai presidi[/inlinetweet].

Ciò che i docenti temono è la discrezionalità del dirigente che può portare a ingiustizia e corruzione. Siamo in Italia e mi sembra lecito nutrire un tale timore!

Boicottare gli Invalsi è una strategia utile per far valere le proprie ragioni?

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Il boicottaggio dei test Invalsi è stato strumentale alla protesta poiché l’Invalsi assorbe fondi europei, ma anche nazionali.

Gli alunni poi non amano questi test perché non rispecchiano la metodologia della Scuola italiana. Anche se ormai sono ampiamente usati, la forma prevalente di verifica resta sempre il colloquio orale o l’elaborato scritto che riflette le conoscenze dello studente. Basti pensare che tutti gli esami previsti da Scuola e Università si svolgono in questa forma.

Come sono cambiati i programmi nel corso degli anni? Eliminare o ridurre le ore di insegnamento di alcune materie è stata una scelta opportuna?

I programmi sono sempre più ridotti, ma [inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]non è importante la quantità di argomenti da trattare, quanto la qualità[/inlinetweet].

È importante soprattutto il raggiungimento di un adeguato metodo di studio che dia autonomia all’allievo e lo induca alla curiosità, a chiedersi perché.

Certo i tagli hanno penalizzato discipline che per noi italiani dovrebbero essere fondamentali: la storia dell’arte, la musica… Non si può concepire che gli studenti italiani non abbiano conoscenze in merito!

Trovi che il livello medio degli studenti si sia abbassato rispetto a qualche anno fa?

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Credo di sì. Di anno in anno mi rendo conto che le competenze di base sono sempre più limitate. Nelle classi ci si rende conto che molti allievi non sanno leggere e di conseguenza hanno difficoltà di comprensione.

Anche nella lingua scritta si evidenziano molte lacune di carattere grammaticale e lessicale.

Come fronteggi la dipendenza da smartphone in classe?

Devo dire che se i ragazzi sono interessati a quello che si fa, non usano il cellulare. Durante i compiti in classe si evidenzia la dipendenza, ma in questo caso basta non stare seduti in cattedra e circolare per la classe!

Come vedi la scuola tra dieci anni?

Ho girato la domanda a mia figlia Alessia (19 anni, diplomanda quest’anno, ndr.) che da disfattista ha risposto:”Basta vedere la differenza tra Daria e me!” (Daria di anni ne ha 31 e ha frequentato la stessa scuola di Alessia, ma dieci anni prima, ndr.)

Io spero però che il mio nipotino possa avere la stessa fortuna di chi ha incontrato maestri bravi, competenti e aggiornati, che gli facciano amare la scuola da subito e gli trasmettano il piacere della conoscenza.