L’uomo è un animale “social” [RECENSIONE]

Gli esseri umani sono animali sociali: l’evoluzione li ha plasmati per formare reti sociali (social network) e per scambiarsi informazioni. L’umanità ha nel suo dna, metaforicamente e biologicamente, la spinta a usare i social media. Com’è allora che questi si sono manifestati – come un fenotipo attivatosi dopo millenni di latenza – solo negli ultimi anni, grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a Internet, al web, al mobile?

L'uomo è un animale "social"

La tesi di Tom Standage, giornalista, caporedattore e responsabile delle strategie digitali per The Economist nel suo libro “I tweet di Cicerone – I primi 2000 anni dei social media”(Codice Edizioni, 2015) è che in realtà i social media siano sempre esistiti (o almeno da quando è stata inventata la scrittura); è possibile individuare strutture e dinamiche, supportate dalle tecnologie di ogni periodo storico, di questi

ambienti conversazionali bidirezionali, in cui le informazioni transitano in maniera orizzontale da una persona all’altra tramite reti sociali, anziché essere trasmesse verticalmente da un’emittente centrale e impersonale.

Per Standage l’anomalia si è avuta in realtà a partire dai primi decenni dell’Ottocento, con la comparsa della stampa (intesa in senso moderno) e in seguito della radio e della televisione, in poche parole dei mass media.

Nel libro – denso di esempi e di cronache (con qualche pagina di troppo che appesantisce la lettura) – si ripercorre la storia della diffusione dei contenuti e dell’impatto che le diverse modalità hanno avuto nelle società. In genere, quando creazione, trasmissione e discussione delle informazioni sono state veicolate in reti interconnesse, via via sempre più grandi, si sono avuti vantaggi in termini di libertà e crescita culturale.

Durante la repubblica prima e l’impero romano dopo, per esempio, notabili come Cicerone, uomini politici come Cesare, filosofi come Seneca erano soliti avere una fitta corrispondenza anche con persone molto lontane, grazie all’“infrastruttura tecnologica” romana (supporti come papiri e tavolette di cera, strade e soprattutto schiavi, la “banda larga” dell’epoca). La differenza tra corrispondenza privata e conversazione pubblica era molto sfumata perché era abituale leggere ad alta voce le missive e farne delle copie da rigirare ad altri. Le opere filosofiche o “artistiche” erano fatte circolare dagli stessi autori attraverso la diffusione tra le loro cerchie sociali, cercando con ogni mezzo di combattere versioni spurie e ritoccate non per paura di perdere un guadagno (che non esisteva) ma per timore che la loro reputazione (la cosa più importante) ne venisse intaccata. Il successo di un’opera era dato dalla somma di decisioni di singoli individui, che decidevano o meno di ri-diffondere l’opera stessa nella loro rete sociale.

I primi cristiani furono grandi utilizzatori del sistema social mediatico ereditato dai Romani; lettere ed epistole furono usate per diffondere insegnamenti, animare dibattiti e risolvere dispute. San Paolo fu il “sommo influencer” tanto che i suoi “contenuti” – le sue epistole – vengono ancor lette ad alta voce nelle chiese cristiane.

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L’invenzione della stampa contribuì ad ampliare non solo il pubblico dei potenziali lettori ma anche di coloro che potevano scrivere e diffondere le loro idee. Standage narra con dovizia di particolari le dinamiche che portarono le tesi di Lutero ad ottenere un così grande successo nei paesi del Nord Europa; pamphlet e contro-pamphlet, a favore o meno di Lutero, contribuirono a una discussione che investì quasi tutti gli strati della società. Gli stampatori ebbero una grande importanza, potendo stampare molte copie in tempi ridotti: erano i “supernodi” della rete di allora.

Prima pagina dell' "Aeropagitica" di John Milton, libello in difesa della libertà di stampa (1644)
Prima pagina dell’ “Aeropagitica” di John Milton, libello in difesa della libertà di stampa (1644)

 

Questo fenomeno aiutò l’emergere, in Inghilterra, dell’idea di libertà di stampa fin a partire dal Seicento. La censura reale tentò, invano, di limitare o impedire la diffusione delle “newsletter”, sorta di bollettini di informazione politica, dei “coranto” (fogli unici con articoli di prima mano dai fronti di guerra) e dei pamphlet politici e satirici. Proprio quest’ultimi, in particolare, furono responsabili dell’emergere dei primi germogli di quella che verrà chiamata “sfera pubblica”. Le caffetterie conferirono nel Seicento, “forma fisica ai network sociali attraverso cui le informazioni passavano” e contribuirono al libero scambio di idee. La lotta della verità che, come diceva John Milton, battagliava ad armi pari con i suoi avversari, ispirò il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Del resto, tanto la rivoluzione americana che quella francese devono la propria genesi anche alla diffusione “virale” di gazzette e pamphlet, che permise la “sincronizzazione delle opinioni” che, spiega Standage, avviene perché:

i social media aiutano le persone a comprendere come la loro insoddisfazione per lo status quo, che potevano essere riluttanti a esprimere, sia condivisa da molte altre persone

 

Prima pagina del "Sun" del 26 novembre 1834. Il "Sun", fondato un anno primo, è il primo quotidiano inteso in senso moderno.
Prima pagina del “Sun” del 26 novembre 1834. Il “Sun”, fondato un anno primo, è il primo quotidiano inteso in senso moderno.

 

Fu la nascita del giornalismo moderno, agli inizi del XIX secolo, a cambiare la situazione; i giornali cominciarono a raccogliere un vasto pubblico di lettori, non di interlocutori, che poi “vendevano” agli inserzionisti. La radio visse un breve momento “social” ai suoi albori, quando i primi radioamatori costituirono una delle prime community online della storia (la prima in assoluto fu quella dei telegrafisti, di cui Standage racconta divertenti aneddoti). Ma ben presto ragioni di varia natura fecero sì che prima la radio e poi la televisione fossero rigidamente regolamentate, sia negli Stati Uniti che in Europa, trasformandole in mass media centralizzati.

Il pendolo della storia sta tornando verso modelli di media sociali basati sulla partecipazione, sulla condivisione e sulla raccomandazione personale grazie a internet, al web e alle tecnologie della comunicazione del XXI secolo.

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E’ interessante notare che in tutte le epoche ci furono forti resistenze, specie da parte di chi deteneva il potere, verso i nuovi strumenti e metodi di diffusione delle informazioni; critiche feroci furono rivolte alla scrittura, alla stampa, ai pamphlet e alle gazzette, ai luoghi di incontro come i caffè. I timori erano, sostanzialmente, sempre gli stessi: che il maggior accesso alle informazioni da parte della gente comune favorisse il proliferare di chiacchiere futili, di falsità, di pericolose idee in grado di causare instabilità politica e sociale. Il dibattito attuale sui vantaggi e sulle criticità dei social media, come si vede, non è poi così originale…

Libro interessante e istruttivo, quello di Tom Standage. Il suo excursus storico sugli strumenti e sulle dinamiche della comunicazione può aiutarci a comprendere meglio il mondo dei social media attuali, le sue potenzialità e le sue criticità senza isterismi ma con spirito critico.