Scootersharing a Milano, un nuovo modello di mobilità

Scootersharing a Milano, un nuovo modello di mobilità
Foto: nguyentuanhung / Pixabay

A dicembre con grande enfasi un nuovo servizio di sharing è stato annunciato in Italia, lo scootersharing a Milano. E il Comune lo ha fatto con dovizia di date: lo start il 21 marzo 2015.

Il sistema è di certo interessante e utile, ma ha una serie di criticità abbastanza profonde.

Ci vorranno almeno 120 mezzi (facile, ma solo se convenzionali), che potranno o meno trasportare un passeggero in base ai modelli e alle decisioni di chi vincerà la gara.

Limiti e dubbi dello scootersharing a Milano

Solo i maggiorenni potranno usare lo scootersharing a Milano, un limite apparentemente “debole”, ma se un quattordicenne arriva ad acquisire uno scooter ben difficilmente si riconvertirà allo sharing.

Ci vorranno uno o due caschi e qui scatta il vero limite di cui parleremo più approfonditamente.

Anche l’obbligo di corsi regolari sulla sicurezza impone degli interrogativi: un costo per il gestore e corsi da fare agli abbonati che già usano?

A Milano attualmente i motocicli immatricolati sono 156.736 (dato ACI), 93.400 i ciclomotori (stima Amat). Nel 2013, anche grazie al car sharing, il numero di auto immatricolate a Milano è calato, in controtendenza con i dati nazionali generali.

Scootersharing a Milano, un nuovo modello di mobilità
Foto: djedjenny / Pixabay

 

Qui ovviamente si chiedono ciclomotori evoluti, moto e tricicli ai massimi livelli di ecologia: sarebbe bellissimo forzare fino al 50% di flotta elettrica se ci fossero veramente i modelli sul mercato. Perchè i ciclomotori e i motocicli, specie i più vecchi, inquinano in maniera impressionante. I vecchi modelli a due tempi ancor più risentono del fatto che con funzionamento a motore a freddo emettono di più e i nuovi modelli a quattro tempi risentono dello stesso fenomeno. Ma se nelle città le auto calano e migliora la qualità ambientale del parco circolante, per le moto si assiste a un aumento del numero dei veicoli, in gran parte molto vecchi.

Un ciclomotore non catalizzato a due tempi emette fino a metà della CO2 di un’auto e la catalizzazione sui due tempi fa poco. Peraltro emette, per ciclo di funzionamento, idrocarburi incombusti e olio. I modelli a quattro tempi, catalizzati e no, inquinano di certo meno, sull’ordine di un quarto di una vettura. Ma anche qui il circolare a freddo fa crescere un po’ l’inquinamento. [inlinetweet prefix=”” tweeter=”” suffix=”null”]Di fatto nelle città le moto migliorano in maniera innegabile la viabilità, ma incrementano l’inquinamento[/inlinetweet] e questo non appare un dato chiaro a chi legifera.

Da altri annunci sembra ci si ponga l’obiettivo di 1.500 motorini, una parte dei quali elettrici. Sembra ci siano già interessati e forse si imporranno per lo scootersharing i modelli più ecologici.

E il Comune rilancia anche i quadricicli elettrici Free Duck di EQSharing: non sono di certo belli ma funzionali.

Il tutto legato alle isole digitali che da 15 diverranno 27, azzardando però di lasciare libero parcheggio con obbligo di ricarica per i gestori (scelta che potrebbe però trasformarsi in un boomerang), anche grazie ad una app in fase di sviluppo.

La parte dolente: la sicurezza e il casco

In caso di neve spesso si vieta la circolazione alle due ruote e questo problema va gestito: le moto non hanno ancora reali gomme invernali e in inverno si rischia facilmente di scivolare. Quale compagnia assicurativa fornirà adeguate coperture a costi accettabili? Chi controllerà che il casco sia indossato?

“Yamaha fc aqel 2007” by DaiFhPlease – Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

 

In moto spesso un adeguato abbigliamento protegge da cadute e urti, avendo per contraltare la scomodità che i motociclisti accettano, senza dubbi. Un cliente occasionale in pantaloni corti e maglietta cadendo si farebbe di certo più danni di chi indossa estate e inverno giubbotto e pantalone imbottito. Il motociclista in genere sceglie il casco migliore possibile, delle misura perfetta perché un casco largo è pericoloso. Da esperto, il motociclista accetta una scomodità per la sicurezza, ma chi usa lo scooter per la prima volta? Sarà in grado di decidere il meglio per quel viaggio.

Inoltre, finita la corsa, dove va lasciato il casco? Occorrerà creare pool di “scatole” chiuse a chiave con modelli di casco diversi e misure diverse? Bisognerà prenotare? Si dovrà usare un casco personale? L’uso del casco di proprietà risolverebbe anche il problema della pulizia dei caschi o di dover avere sottocaschi usa e getta.

La mia esperienza nel car sharing con i seggiolini per bambini mi ha convinto che l’uso di materiale di proprietà del cliente sia vincente, ho visto mamme con seggiolini inguardabili dire che quello condiviso era “sporco” e “polveroso” nonostante fosse nuovo e sotto cellophane.

Questo esperimento di scootersharing è certamente una grande innovazione, ma ha ancora con qualche area “oscura” da risolvere. [inlinetweet prefix=”null” tweeter=”null” suffix=”null”]Se il progetto andasse in porto Milano sarebbe di certo la prima in Italia a sperimentare questo servizio in grande stile[/inlinetweet], già diffuso nelle località balneari spagnole e greche, e a candidarsi a capitale europea della mobilità.