Suz: pizzi e merletti tra trip hop e jazz

Lacework è il terzo album della cantante bolognese Suz, nome d’arte di Susanna La Polla.

Si tratta di un raffinato disco trip hop, dalle evidenti influenze jazz, uscito da poco per IRMA Records. Il titolo, che in Inglese traduce pizzi o merletti, nelle intenzioni della cantante indicherebbe pure il lavoro (work) di lacci (lace), gli intrecci che sono dietro tutti i brani.

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E in effetti, pur nella diversità dei diversi pezzi, si percepisce un senso di delicata armonia da ognuno di essi, che accompagna il racconto di questi legami amicali, sentimentali o di sangue.

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Questo tuo terzo lavoro sembra differente dai precedenti: le influenze jazz, già presenti negli ultimi due, sembrano farsi più forti rispetto alla componente trip hop. Al contempo, è partito il tuo Suz Jazz Quintet, che esplora altre direzioni. Parleresti di questo tuo percorso?

Non saprei, onestamente non credo il mio modo di cantare sia cambiato granché dal mio precedente disco, o almeno è una cosa che non avverto.

D’altronde molte voci del trip hop britannico si rifanno alla scuola delle grandi interpreti del jazz.

Posso però certamente dirti che in questo lavoro rispetto ai precedenti c’è una maggiore cura verso i testi e verso le soluzioni armoniche che, seppur semplici, sono comunque decisamente più originali rispetto a quelle dei precedenti album.

Il quintetto è nato un paio d’anni fa grazie a Valerio Pontrandolfo, talentuoso sassofonista originario di Potenza ma residente ormai a Bologna da vent’anni.

Insieme ci siamo messi a scegliere standard da proporre live, quindi al progetto si sono uniti il pianista Nico Menci, il contrabbassista e violoncellista Bruno Briscik e il batterista Marco Frattini (cui spesso si è alternato Gaetano Alfonsi, visti i diversi impegni di Frattini con C’mon Tigre e M+A in primis e poi con tante altre band).

Tutti musicisti incredibili coi quali mi ritengo sinceramente onorata di collaborare. Col quintet abbiamo suonato diverse volte in città, mentre in trio (Pontrandolfo, Menci ed io) lo scorso 21 maggio abbiamo presentato in anteprima Lacework in versione acustica nell’ambito della rassegna ArtRockMuseum organizzata da Pierfrancesco Pacoda a Palazzo Pepoli, il Museo della Storia di Bologna.

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Te l’avranno sicuramente già detto molte volte, anche considerando il contesto: la tua voce alle volte ricorda incredibilmente quella di Joni Mitchell. Non credo però che sia l’unica artista ad averti ispirato.

Onestamente è la prima volta che qualcuno azzarda un paragone così altisonante, ne sono lusingata e ti ringrazio davvero molto, ma ti devo dire che in realtà non sento affatto questa somiglianza, magari fosse così!

Comunque devo dire che ultimamente (a disco già ultimato intendo) ho ascoltato molto Joni Mitchell, in particolare The Hissing of Summer Lawns, vinile che ho ereditato da mio padre, ma anche cose più recenti come Turbulent Indigo, della cui titletrack sono letteralmente innamorata.

A cosa si deve il tuo passaggio per Omero e Antemussa?

Alla tappa che nell’estate di due anni fa, durante il tour promozionale del mio secondo disco, Ezra, Alessiomanna ed io abbiamo fatto a Capo Peloro sullo stretto di Messina.

Proprio là alcuni storici localizzano l’isola delle Sirene nell’Odissea, ed è un luogo assolutamente affascinante.

In Lacework c’è anche spazio per il pianoforte: come scegli strumenti e collaborazioni per un brano o un album?

Il pianoforte è un vecchio Mola degli inizi del ‘900 in dotazione al No.Mad, lo studio di Ezra a Torino. Abbiamo deciso di utilizzarlo per trovare delle soluzioni armoniche pensando poi di arrangiare il tutto in chiave elettronica ma alla fine in alcuni pezzi suonava così bene che abbiamo deciso di tenerlo.

Per quanto riguarda le collaborazioni sono cose che nascono di volta in volta, dettate da affinità artistiche o da sensibilità comuni.

Con Ezra poi ci conosciamo ormai da vent’anni e lo stesso vale per Spire, al secolo Paolo Iocca, che mi accompagna dal vivo.

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Come cambia Suz dallo studio al live?

Se vuoi una risposta sincera ti dirò che sono una gran rompiscatole  e sono terribilmente ansiosa, sia in studio che dal vivo, però fortunatamente a tratti mi lascio andare a momenti di incontrollabile ilarità.

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Suz, cosa vorresti che rimanesse di Lacework, all’ascoltatore?

Vorrei che fosse un disco apprezzato non solo per la sua orecchiabilità ma anche per i suoi testi. Si tratta di un album senza alcuna pretesa, per carità, ma mi piacerebbe comunque che chi si trovasse a canticchiarlo sapesse che cosa sta canticchiando, ecco.