Progressive metal, un genere tra fusioni e virtuosismi

Alberto Rigoni Progressive Metal tra fusioni e virtuosismiFoto gentilmente concessa da Alberto Rigoni, tutti i diritti riservati.

 

Nella musica di questi ultimi anni si è spesso assistito a mescolamenti di generi prima ritenuti anche molto distanti. Il progressive metal, in particolare, è da sempre riuscito per suo carattere a creare di queste commistioni, sia producendo pezzi tra loro molto diversi all’interno di uno stesso album, sia con transizioni da un genere all’altro nell’ambito della stessa traccia. A fare da fil rouge a queste proposte innovative è spesso stata la tecnica sopraffina dei musicisti che le sperimentavano. Ti consigliamo l’ascolto di tre album di recente uscita, tutti influenzati in modo piuttosto diverso dal progressive metal.

Rigoni, tempi moderni e descrizioni musicali

Con Overloaded, del talentuoso bassista italiano Alberto Rigoni, si assapora un album strumentale di fusion e rock più o meno duro: non siamo però di fronte a un lavoro dedicato ai soli appassionati dello strumento, della tecnica o del genere. Con la title track, Rigoni richiama il sovraccarico delle nostre moderne esistenze, ma ovviamente overload è anche la saturazione del suono, distorto in modo caldo e non troppo accentuato. Il crescendo sale fino a diventare insostenibile: ovviamente, questo è vero solo da un punto di vista della descrizione, perché le note sono assai piacevoli. Il concetto è ripreso anche nella breve ma significativa Multitasking, che rende perfettamente in musica quel dover saltare freneticamente dal contesto di un’operazione a quello di un’altra. Corruption parte invece con un’introduzione davvero tipica dei generi prog metal e shredding, e similmente si conclude. Con Ubick ci si stupisce poi non solo per i fraseggi e la varietà, ma pure per la melodia accattivante e solida. L’ultimo brano, Glory of Life, conclude degnamente la prova di Rigoni, e sembra riecheggiare classici della fusion come i Weather Report, ma con una resa assolutamente attuale.

Helix Nebula, virtuosi dall’Australia

È progressive metal strumentale quello degli australiani Helix Nebula con il loro album d’esordio Meridian, anche se sulla pagina Facebook si parla di Tech metal: chiara l’enfasi sulle prodezze dei quattro musicisti del gruppo. E, in effetti, queste non ci abbandonano per un solo minuto nella mezz’ora scarsa che compone l’album. La formazione presenta due chitarre, basso e batteria. Il primo brano, Sea of Suns, conquista subito con un’introduzione larga, nella quale irrompono le taglienti chitarre distorte. A seguire, in Temple la band rilascia una cascata di note, quasi a disegnare elaborate architetture, per concludere con poche, meditate e ariose note. Il quinto grintoso pezzo, Sailing Stone, vede anche la presenza del ventiduenne chitarrista australiano Plini. Alla fine l’album non si discosta dal genere e da artisti come Gru o lo stesso Plini, ma il risultato è sicuramente gradevole. Che riusciate a cogliere ogni attimo del virtuosismo di questo album, o che vogliate solo godervi del sano, rilassante progressive metal, questo esordio fa al caso vostro.

Tungsten, al confine con la psichedelia

The Reservoir degli statunitensi Tungsten propone invece una commistione di prog metal e psichedelia. L’album apre con Water over Stone, e il pensiero andrà subito ai Pink Floyd: capiterà diverse altre volte nel corso dell’ascolto, ma ogni volta i Tungsten ricorderanno un grande gruppo rock classico differente. L’intero album ripropone un vasto repertorio di lick, numeri e sonorità di band psichedeliche e prog-rock degli anni ’60 e ’70: alle volte sembra davvero che ci si trovi all’interno di un collage. Diremmo che è soprattutto questa la cifra stilistica della band, e, anche se le transizioni sono fluide, non viene da gridare al miracolo, né per l’originalità, né per i pezzi in sé.

 

 

Credits foto: albertorigoni.bandcamp.com