Verso la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico, nuovi segnali

Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico
katja / Pixabay

 

Si torna a parlare di cambiamento climatico. Dopo Brisbane e l’estate più calda di sempre, la situazione non sembra però migliorare, purtroppo. In vista della Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico a dicembre, continuano a muoversi Stati Uniti, Europa e Cina, mentre gli effetti sul pianeta si fanno sempre più visibili.

Verso la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico

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Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo. Da Wikipedia 

 

Alcuni giorni fa, il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz ha usato toni drammatici nel sottolineare che è rimasto poco tempo per agire e che è in gioco la sopravvivenza dell’umanità. Eppure verrebbe da notare, per amor di paradosso, che siamo 7 miliardi. Per Schulz gli obiettivi in ambito climatico non sarebbero dei singoli Paesi, ma condivisi: ci si prepara così per la prossima COP21 (Conference of the Parties) che si terrà a Parigi a dicembre.
Nel frattempo, Stati Uniti e Cina stanno già lavorando insieme, come mai prima, per affrontare il problema ancor prima della Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico. L’oggetto dell’accordo tra i due principali produttori di gas serra sarà la riduzione degli stessi, e si tenta anche di anticipare al 2020 o al 2025 il picco delle emissioni per il Paese asiatico.

Stati Uniti: siccità, inondazioni e problemi interni

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Vista aerea dell'Acquedotto Californiano. Da Wikipedia

 

Tra i primi ad avvertire il cambiamento climatico ci sono proprio gli Stati Uniti, infatti. Il Paese nordamericano si trova spaccato in due: la parte orientale si troverà invece ad affrontare il problema delle sempre più probabili inondazioni, mentre la parte occidentale avrà una stagione calda e secca, dopo le piogge non all’altezza delle aspettative nei mesi precedenti. La tendenza rilevata è sempre e comunque quella al riscaldamento.
In particolare, nel West la California vive da mesi una crisi davvero seria, dovuta alla siccità. L’idrologo della NASA, Jay Famiglietti, ha ammonito che è necessario razionare l’acqua per evitare il disastro. Per lui, la California non avrebbe un piano per affrontare il problema, a parte il dichiarare l’emergenza e lo sperare nelle piogge.

Intanto, negli Stati Uniti qualcosa si muove anche all’interno e non solo a livello di azione internazionale: nella lotta tra ambientalisti e politici che negano il fenomeno del cambiamento climatico, si registra l’intervento della FEMA (Federal Emergency Management Agency, l’agenzia per la gestione delle emergenze a livello federale). Questa approverà piani ed elargirà fondi federali solo agli Stati che affronteranno il problema del cambiamento climatico.

Ghiacci che arretrano, studi e iniziative che avanzano

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Picco annuale dei ghiacci nell'Artico, 25 Febbraio 2015. Dalla NASA, Earth Observatory
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Picco annuale dei ghiacci nell'Artico, 14 Marzo 1983. Dalla NASA, Earth Observatory

 

Ulteriori segnali negativi a livello globale sono stati ugualmente registrati. Il picco annuale di ghiaccio nell’Artico ha toccato il minimo in quattro decadi di rilevazione satellitare, oltre ad essersi verificato ben quindici giorni prima. Il confronto tra Febbraio 2015 e Marzo di 1983 rivela che solo nel Mare del Labrador e nello Stretto di Davis le condizioni non sono al di sotto della media.

Si segnalano anche altri studi. Una ricerca su Nature, invece, da un lato conferma che le precipitazioni nevose aumenteranno in Antartico in conseguenza dell’aumento delle temperature, dall’altra rileva che le stesse saranno molto meno rilevanti di quanto si pensasse. Intuitivamente si comprende come, all’aumentare del riscaldamento, aumentino l’umidità e conseguentemente le nevicate sull’Antartico: il problema è che non si sta osservando questo e il fenomeno sarebbe più limitato di quanto ci si potrebbe aspettare. Uno studio su Climate rivela invece che, al di là dell’incremento delle temperature e del cambiamento climatico, ci sarebbero delle modificazioni più sottili che spesso sfuggono.

Infine, c’è una nuova iniziativa per modificare una percezione negativa che si sarebbe instaurata contro coloro che fanno ricerca nel campo del clima, ma vista la gravità della situazione viene da chiedersi se davvero c’è ancora bisogno di convincere qualcuno. Uno dei problemi principali, come nota l’economista Stephen Devlin sul giornale inglese The Guardian, è invece dato dal fatto che un cambiamento è necessario e bisognerebbe consumare meno, mentre le imprese tendono a suggerire qualcosa di diverso: riciclare di più, passare ad alternative e prodotti sostenibili, ma pur sempre comprare. Si tratta talvolta di un miglioramento, ma un ripensamento più radicale è forse quello che serve davvero.