Migranti

Pavel

Il piccolo Pavel guardava la skyline della città dal finestrone romanico.

La pioggia non gli era mai piaciuta: da quando la situazione del clima era improvvisamente precipitata bisognava indossare quelle stupide tute, pesanti e scomode, anche per andare a scuola.

Se solo i nostri nonni avessero preso seriamente in considerazione i danni dell’inquinamento – pensò ad alta voce, sospirando e aggrottando le ciglia – non saremmo ridotti così male.

Così profondo e così giovane, il volto di Pavel, preoccupato e illuminato a brevissimi sprazzi dalla luce di lampi spaventosi, pareva una terribile maschera dai lineamenti orribili. 

 

Ramàn

Il primo giorno di scuola era sempre così: frenetico!

La madre di Pavel, Ramàn, passava velocemente in rassegna l’equipaggiamento del figlio: compiti caricati nelle hololens a contatto del pargolo, un frutto purissimo, liofilizzato, incontaminato e decisamente caro per merenda.

Poi, un bacio sulla fronte: “Il mio soldatino è pronto” – disse con quella voce che usa solo la mamma – “Pronto per la scuola!”.

La guerra era stata abolita da 239 anni, ufficialmente e a maggioranza assoluta, ma quel modo di dire lo aveva imparato da bambina, da nonna Raia, e non era mai riuscita a scordarlo.

Bzzzz Bzzzz Bzzzzzzzzzzz

La navetta bus sarebbe arrivata in 3 minuti: l’inconfondibile ronzio del micro dispositivo a vibrazione installato sotto pelle nel padiglione auricolare di Ramàn non poteva sbagliare.

Da quando i motori a combustione erano stati dichiarati illegali gli spostamenti erano diventati semplici: niente code, niente attese, nessun incidente.

Che folle – pensò Ramàn, non riuscendo a trattenere una risatina.

Fantasticava su quel miliardario visionario che aveva dilapidato la sua fortuna per regalare a tutti una mobilità pulita ed efficiente e si ripeteva, convinta, che se avesse avuto quella fortuna tra le mani, mai e poi mai l’avrebbe distribuita senza chiedere nulla in cambio.

Ma questi pensieri frivoli si sbriciolavano, mentre guardava Pavel allontanarsi sulla navetta silenziosa.

Autho: Skybum

Papa Ricky

Papa si muoveva silenzioso tra le fila della catena di montaggio.

Da qualche anno, ad ogni cambio turno, avvertiva una sensazione strana, un misto di frustrazione e orgoglio: non tutti conservavano ancora il privilegio di lavorare e contribuire allo sviluppo della società.

Ogni giorno, dal compimento del diciottesimo anno di età, aveva portato a termine i suoi 60 minuti di lavoro, con perizia e precisione assoluta, quasi maniacale.

Sessanta minuti di potere, ambizione, controllo.

Per quanto supervisionare la linea dei depuratori ionici non restituisse a Papa Ricky neppure un briciolo di adrenalina, lui si figurava essenziale, come tutti, per la sopravvivenza del gruppo.

Mai e poi mai avrebbe scordato la gioia negli occhi di mamma Raia quando, già a cinque anni, era stato selezionato geneticamente come supervisore: un buon ramo genealogico, intelligenza spaziale nella media, propensione all’indottrinamento, scarso senso critico.

Pensandoci, non potè fare a meno di sorridere.

Rocket Technology Engine Space Science Spaceship

Pan

Pan aveva 27 anni, un buon lavoro, una discreta copertura assicurativa e una stanza classe B in un co-housing nella zona nord dell’area metropolitana.

Il suo impiego le dava tante sicurezze e qualche vantaggio: una corsia preferenziale sul trasporto pubblico e una piccola quantità di spazio personale.

Lavorando sodo – ripeteva come un mantra – un giorno avrò una piscina con vera acqua.

L’unico rimpianto di Pan era non poter avere figli: il suo DNA, compatibile ma non evolutivo, non era stato selezionato e sarebbe scomparso con lei, in nome della condivisibile causa del miglioramento della comunità.

Pan ne era certa. Pan era l’insegnante di Pavel.

Il viaggio a scuola e i migranti

Questi nuovi cristalli non si appannavano. Pavel continuava a soffiare alito caldo sul policarbonato trasparente del finestrone della navetta ma nulla, non c’era modo di disegnarci su un fiore col dito.

Sarà perché si può vedere da dentro ma non da fuori? – si domandava deluso.

Il tragitto verso la video-scuola durava esattamente 17 lair e 3 sisti, e Papa Ricky aveva lavorato davvero sodo per garantire a Pavel quel diritto: 8 lachi di istruzione.

Con un po’ di fortuna e tanto, tanto impegno, Pavel sarebbe stato estratto e avrebbe potuto lavorare, rendendolo fiero.

Papa aveva abbandonato, da anni, quelle passioni giovanili che da sempre avevano animato le nuove generazioni con la forza di mille Cyberloop.

Ora sperava solo in una vita tranquilla e un sereno, se non felice, futuro per la sua prole.

Poco male se da lì a poco avrebbero dimezzato l’orario di lavoro disponibile: Pavel meritava il meglio, qualunque soluzione fosse, ma meritava di stare meglio degli altri, avrebbe speso tutti  suoi spars e avrebbe fatto di tutto per raggiungere questo obiettivo.

In fondo era stato uno degli ultimi partoriti, il suo strano ombelico era la prova di quanto fosse speciale.

Ma Pavel era ancora un bambino e piangeva. Rivoli di calde lacrime scorrevano sul suo viso insinuandosi e riscaldando le pieghe più nascoste del suo piccolo viso contratto.

Non parlava con nessuno dei suoi sentimenti, temeva di apparire troppo strano: il dolore di quegli esseri viventi, sporchi, malnutriti, dimessi, lo colpiva dentro, nel profondo.

Sono sporchi, brutti e puzzano. Alcuni sono vettori di terribili malattie ormai debellate nella nostra civile società – ripeteva sicura Pan – è una vera tragedia ma non ci sono abbastanza minuti di lavoro per noi, come potremmo aiutarli?

Erano sbarcati in tanti, tantissimi ne continuavano ad arrivare su mezzi di trasporto osceni: trappole terrificanti su cui viaggiavano ammassati come bestie, soffrendo fame e sete per mesi di incerta navigazione, con le stelle come unica strumentazione di bordo.

Migliaia, forse milioni approdavano a ondate in cerca di un futuro.

Sporchi, soli, fuggiaschi, il loro idioma incomprensibile, il loro aspetto così strano.

C’era poco da dire: a vederli avresti persino dubitato che anche loro fossero opera del Grande Celeste Creatore, se non una bozza mal riuscita.

 

Sono qui per invaderci! – dicevano alcuni all’uscita da scuola – Prima noi e poi loro, se resta qualcosa – incalzavano da mille schermi le autorità del governo di Siris.

Non sono tutti uguali, ce ne sono alcuni buoni.

Ma avete visto quanto puzza la roba che mangiano?

 

Pavel non capiva perché, ma soffriva.

Eppure ne era sicuro: Papa aveva ragione, era suo Padre.

Pan non poteva sbagliarsi: era la sua Maestra.

Il dolce abbraccio di Ramàn avrebbe fugato ogni dubbio e cancellato ogni sospetto.

Concetti complicati come empatia, solidarietà, amore universale erano troppo per un bambino di 9 anni e presto sarebbero scomparsi. Avrebbe continuato a giocare ai Paps con gli altri, pensava seduto nella navetta bus, sulla strada di casa.

Sei triste Pavel? – Pan interruppe i suoi pensieri poggiando una mano sulla nuca.

Pavel si girò e lei vide sei grossi lacrimoni scivolare giù dai suoi sei grandi occhi.

Perché – chiese con un filo di voce – tutti odiano gli umani?