L’umanizzazione dell’Intelligenza Artificiale: il transfert sulle macchine

A grandi passi, ci avviciniamo verso una più concreta introduzione dell’Intelligenza Artificiale forte nelle nostre vite.

Questo punto di non ritorno, identificato dai più, con qualche approssimazione, come “singolarità tecnologica“, si rende inevitabile proprio come conseguenza dell’attività e del progresso della stessa entità fisica che la tecnologia è destinata a superare: l’essere umano.

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Se è vero che una macchina in grado di ragionare più velocemente e più compiutamente degli esseri umani, o della loro maggior parte, produrrebbe enormi benefici per l’umanità stessa, a partire dalle soluzioni in campo medico fino a più accurate ed efficienti esplorazioni spaziali, le ricadute in termini psicologici e sociali della “perdita del primato” dell’essere umano saranno altrettanto vaste e incisive.

Non si tratta “soltanto” di una riduzione dei posti di lavoro a disposizione delle persone: parliamo di un superamento istantaneo, complessivo e globale in grado di sminuire il percorso millenario di evoluzione dell’essere umano e dell’affermazione di se stesso verso un nuovo futuro non ancora definito.

Il concetto di singolarità tecnologica

Sebbene si creda che il concetto di singolarità sia piuttosto recente, esso nasce realmente negli anni cinquanta del Novecento e, nel 1965, lo statistico I. J. Good descrisse un concetto simile al significato contemporaneo di singolarità, prevedendo l’avvento di un’intelligenza superumana: 

«Diciamo che una macchina ultraintelligente sia definita come una macchina che può sorpassare di molto tutte le attività intellettuali di qualsiasi uomo per quanto sia abile. Dato che il progetto di queste macchine è una di queste attività intellettuali, una macchina ultraintelligente potrebbe progettare macchine sempre migliori; quindi, ci sarebbe una “esplosione di intelligenza”, e l’intelligenza dell’uomo sarebbe lasciata molto indietro. Quindi, la prima macchina ultraintelligente sarà l’ultima invenzione che l’uomo avrà la necessità di fare.»

Intelligenza artificiale forte e debole (in breve)

Cos’è l’Intelligenza Artificiale forte e in cosa si distingue dall’Intelligenza Artificiale debole?

Il termine intelligenza artificiale forte  fu originalmente coniato da John Searle. Questa teoria sostiene che per le macchine è possibile diventare coscienti di sé, senza necessariamente mostrare processi di pensiero simili a quelli umani.

ragazza robot

Al contrario, l’intelligenza artificiale debole si riferisce a programmi creati e destinati a risolvere specifici problemi, senza che il software sia in grado di comprendere il problema stesso.

La differenza principale con l’AI forte, è che l’intelligenza debole non comporta una consapevolezza dello strumento; diventa un semplice “strumento per risolvere un problema specifico, non particolarmente intelligente. 

L’obsolescenza endemica dell’essere umano

Alla base di queste considerazioni è il riconoscimento di una particolarità comportamentale che ha identificato l’essere umano nei suoi diversi contesti storici, fino quasi a caratterizzarlo.

Questa particolare attitudine lo accompagna dalla sua comparsa sulla terra fino ai nostri giorni: può essere considerato un limite, ma anche un forte impulso verso il progresso: quello di considerarsi da sempre attanagliato da una sorta di obsolescenza endemica.

Questo paradosso, che potremmo definire “paradosso dell’obsolescenza umana insiste nello spingere gli uomini a sviluppare compulsivamente nuove tecnologie che gli permettano di raggiungere, prima, e di mantenere poi, la sovranità sull’ecosistema, partire alla scoperta di territori inesplorati e nuovi, un tempo alla volta delle Americhe e oggi nello spazio inesplorato, fino a diventare creatore di nuovi mondi.

Sembra quindi che l’uomo insista nell’operazione di rendersi meno indispensabile grazie alle nuove invenzioni del suo intelletto: ora che lo “strumento bisturi” è sostituito parzialmente dal chirurgo elettronico e una macchina prende il posto dell’operatore di laboratorio, lo scenario si fa più concreto.

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Dalla scoperta del fuoco alla smaterializzazione dell’individuo

Dalla scoperta  del fuoco (e dall’invenzione dei modi per innescarlo), alla creazione degli utensili per la caccia, alla produzione delle automobili per spostarsi più velocemente, l’uomo ha sempre intimamente inteso bio-ingegnerizzarsi con strumenti e accessori per superare i limiti imposti dalla natura organica.

Braccia più lunghe, gambe più veloci, una vista più efficiente: gli occhiali da vista, il binocolo, la lente d’ingrandimento come prime protesi tecnologiche, ma anche la lancia come estensione armata del braccio e il gruppo come visione collettiva sulla preda indicano questa suggestione.

Oggi, arti meccanici ad alte prestazioni garantiscono un’efficienza pari alle articolazioni umane, superandole, in alcuni casi, per forza, resistenza e risultati.

esoscheletri per la cura delle patologie legate alla mobilità - l'umanizzazione dell'intelligenza artificiale
Di en:Steve Jurvetson – https://www.flickr.com/photos/jurvetson/63461632/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=906569

Gli esempi in tal senso non mancano: dalle nuove gambe “molleggiate” agli esoscheletri già in dotazione agli operai di alcune fabbriche, oppure utilizzati per espandere le capacità motorie delle persone disabili, fino alle protesi ispirate all’immaginario dei super eroi di Open Bionics.

Le protesi tecnologiche e gli arti robotici contribuiscono quindi ad assottigliare, se non a eliminare del tutto, lo svantaggio competitivo tra le persone.

In alcuni casi, quindi, un braccio robotico o una gamba iper-tecnologica possono permettere di raggiungere performance tanto significative da consentire agli utilizzatori di gareggiare con risultati simili, se non superiori, a quelli degli atleti che non fanno uso di protesi.

bebe vio - l'intelligenza artificiale e il transfer sulle macchine
Di © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=77953436

Bebe Vio: siamo tutti robot

Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, nota con il soprannome di Bebe Vio,  è la campionessa mondiale ed europea in carica di fioretto individuale paralimpico.

All’età di 11 anni fu colpita da una meningite fulminante che le causò un’estesa infezione, con annessa necrosi ad avambracci e gambe, di cui si rese necessaria l’amputazione.

Dopo circa un anno dalla malattia, riprese l’attività sportiva, grazie a una particolare protesi progettata per sostenere il fioretto e, insieme alla famiglia, ha poi fondato una ONLUS di sostegno all’integrazione sociale tramite lo sport di bambini che hanno subìto amputazioni.

La sua carriera sportiva è costellata di successi e riconoscimenti (che si possono approfondire qui). Questa storia a lieto fine è il risultato della combinazione di una serie di fattori, che comprendono un ottimo ambiente familiare su cui fare affidamento, uno spirito tenace e determinato a non arrendersi mai e anche, sebbene in proporzione minore, l’ausilio che la protesistica ha potuto fornire.

Come anche lei afferma nell’immagine di una campagna per Sorgenia, “siamo tutti un po’ robot“.

La tecnologia dentro l’essere umano

D’altra parte, se consideriamo il numero di vite che tecnologie come il pacemaker hanno contribuito a salvare, risulta impensabile sottovalutare il miglioramento che le nuove tecnologie mediche hanno apportato all’umanità.

Il pacemaker è un generatore di impulsi elettrici che stimolano la contrazione di una o più camere del cuore, atri o ventricoli, per far sì che il cuore possa svolgere il suo ruolo di pompa ed è in grado di apportare un enorme beneficio a chi soffre di problematiche cardiache.

robot abbraccia bimba umanizzazione dei robot

Da questa considerazione deriva direttamente la possibilità che, se è accettabile inserire un piccolo robot all’interno di un essere umano, in modo che lo monitori, lo guarisca e, addirittura, possa contribuire a favorire un modello di miglioramento, potremmo valutare, in futuro, l’inserimento di alcune caratteristiche umane all’interno delle macchine.

L’umanizzazione dell’Intelligenza Artificiale: il nuovo coltellino svizzero

Lo studio delle Intelligenze Artificiali e l’applicazione concreta nella nostra vita di tutti i giorni identificano tutta una nuova serie di strumenti indispensabili al progresso della tecnologia umana.

Se gli occhiali da vista, il bastone per supportare la deambulazione e le gli apparecchi acustici sono banali esempi dell’ingegnerizzazione dell’essere umano, le intelligenze artificiali aprono la strada verso un tipo del tutto nuovo di estensioni, non più per il corpo: un’estensione della mente traslata nel computer, nel robot androide o diffusa nella rete e nei cloud service.

La tecnologia e la spinta verso sistemi di supporto come l’Intelligenza Artificiale vanno a costituire un nuovo set di strumenti indispensabili per affrontare le sfide con le quali l’umanità dovrà confrontarsi.

Invece che grimaldelli e attrezzi appuntiti, questo coltellino svizzero super tecnologico comprenderà nuovi protocolli di trasmissione dei dati, innovativi sistemi di comunicazione, aggregatori di informazioni super veloci e altri accessori indispensabili, visibili o immateriali.

Non si può non fare riferimento a quella che si preannuncia come una delle rivoluzioni più ampie nella comunicazione diretta tra uomo e macchina. Tanto diretta che i due soggetti si fondono (e confondono) in una entità unica. Stiamo parlando del progetto di Elon MuskNeuralink.

L’azienda di San Francisco si occupa di realizzare interfacce neurali impiantabili. Lo scopo è collegare il cervello umano a un computer per ripristinare alcune funzioni cerebrali compromesse da malattie neurodegenerative o da traumi.

Durante questa presentazione, il team di Neuralink ha mostrato al mondo come sia possibile rilevare i segnali elettrici provenienti dal cervello attraverso l’installazione di un microprocessore, grande come una moneta, dietro l’orecchio delle maialine Dorothy e Gertrude. 

Installabile in poche ore, il chip ha dei piccolissimi elettrodi connessi al cervello, comunica senza fili e può essere ricaricato in modalità wireless, occupando una piccolissima parte della scatola cranica.

Si stima che sia ben 100 volte più potente di qualunque dispositivo a disposizione attualmente.

La tecnologia autonoma: un’idea antica

La statua di Galatea che prende vita nel mito di Pigmalione; i robot aiutanti dell’officina di Efesto; i Golem di argilla animata dalla magia cabalistica della disciplina ebraica.

Ma anche il cavaliere robotico progettato da Leonardo da Vinci attorno al 1495 e le inquietanti conversazioni di HAL9000 in “2001: A Space Odyssey” rispondono alla incessante richiesta di apparire meno “finiti”, meno vecchi, meno limitati.

L'umanizzazione dell'intelligenza artificiale
Di Photo by Erik Möller. Leonardo da Vinci. Mensch – Erfinder – Genie exhibit, Berlin 2005. – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=395321

Espandersi, cioè, nello spazio e nel tempo duplicandosi, rafforzandosi e dotandosi di capacità straordinarie, utili a risolvere le dinamiche che, di pari passo con il superamento di un ostacolo, crescono in un infinito ciclo di successo e nuova problematica.

Allo stesso tempo, l’incapacità umana di risolvere sfide importanti per la sua sopravvivenza, come le questioni ambientali, il sovrappopolamento, le avventure interplanetarie, spinge nella direzione di affidare il problema a una intelligenza tanto superiore da provocare un distacco formale e sostanziale con l’uomo precedente.

Intelligenza Artificiale: il super computer come entità suprema

Con la creazione dell’entità suprema, che tutto conosce e che a tutto può rispondere, come immaginato ne “La Risposta” di Frederic Brown, non è più Dio a creare l’uomo ma l’uomo a dare vita alla divinità, superando, forse per l’ultima volta, se stesso in termini assoluti.

intelligenza artificiale - super computer

La profezia si auto-avvera e l’obsolescenza, nemico giurato dell’uomo dalla sua esistenza, diventa realtà, stravolgendo e frammentando la risposta emotiva verso quattro principali direzioni: 

  • l’estraniazione, quando l’umanità si sottrae alla scelta delle decisioni più impegnative affidandole all’intelligenza superiore; 
  • l’imbarbarimento dell’uomo, spogliato del suo ruolo auto-attribuito di custode dell’esistente; 
  • l’identificazione nelle finalità dell’intelligenza artificiale, a cui vengono attribuite tutte le peculiarità di ragionamento e i bias cognitivi della natura umana; 
  • infine l’odio e la repulsione verso il drastico cambiamento e le relative conseguenze.

Nel rapportarsi alle intelligenze artificiali, l’uomo vede contemporaneamente un rafforzamento di se stesso, con diagnosi mediche più rapide ed efficaci o una gestione più efficiente degli spostamenti, e dall’altro un indebolimento del suo dominio sul mondo.

Allo stesso modo, identifica le grandi potenzialità dei sistemi di intelligenza artificiale a volte come una divinità benevola, a volte come una potenza distruttiva e distruttrice. 

In sostanza, non fa altro che traslare nella tecnologia la propria incapacità di dar vita a una umanità coerente, generosa e lungimirante, riducendo di gran lunga la visione complessiva delle potenzialità dello strumento ma anche di se stesso, inteso come genere umano.

hal 9000

L’intelligenza artificiale forte, pur partendo da una base di auto-apprendimento legata all’assimilazione della cultura umana in tutte le sue forme, potrebbe essere in grado di superare le contraddizioni che vedono come parte di uno stesso gruppo (l’umanità) tanto l’eroe indomito quanto l’assassino spietato. Contemporaneamente, se istruita alla spietata azione utilitaristica, slegata da orientamenti e sovrastrutture etiche, religiose e sociali, l’eventuale istruzione, distruzione e ricostruzione di una società gestita e organizzata dalle intelligenze artificiali rischia di iterare in maniera esasperata schemi e strutture del suo originario creatore.

Ammorbidire la paura della tecnologia con la conoscenza

Il dubbio e le paure legate a questi possibili scenari evolutivi possono essere ammorbiditi con la conoscenza diffusa delle tematiche in questione: il campo dell’intelligenza artificiale, in particolare, è per sua natura dominio dei tecnici, dove trovano poco spazio gli aspetti comunicativi. Tra gli altri, è forse questo difetto che contribuisce maggiormente a presentare nuovi slanci tecnologici come spaventosi, per alcuni aspetti anche magici e misteriosi.

Un modello comunicativo meno freddo, più leggero e mirato alla comunicazione di massa (più umano, in sintesi), può affermarsi come strumento divulgativo preferenziale. Attraverso l’ironia e la burla, è possibile dissacrare un argomento che appartiene troppo nettamente all’olimpo delle personalità scientifiche, scienziati “stregoni” che escludono la “gente comune” dal dibattito anche quando risulta evidente che i fenomeni dell’intelligenza artificiale sono destinati a condizionare il futuro dell’intera umanità.